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Solo il lavoro

Dovremmo preoccuparci, tutti noi della generazione X, per quel che stiamo lasciando a questi giovani come unica possibilità di scelta. Gli stiamo dando un concetto di lavoro di cui è rimasto solo l’aspetto specialistico, processuale: un lavoro, insomma, a cui basta un PC. La conseguenza è evidente, pur essendo un fenomeno ancora recente: una volta tolta la dimensione identitaria e sociale, il lavoro diventa puramente un do ut des, tante ore fuori, tanti soldi dentro. Difficile influire su benessere e senso di appartenenza di chi passa quattro giorni su cinque da solo a casa propria. Ma c’è anche una seconda conseguenza, molto più nefasta e di lungo termine:

“Senza un posto dove andare, ma con il solito numero di obblighi professionali, le persone che lavorano da casa possono avere la flessibilità per fare tutto tranne nuove amicizie” […].

Si lavora quindi, e anche tanto, ma senza gioia: si lavora in solitudine.

Lavorare sempre da casa è la vera libertà? Senza uscire, senza luoghi, senza abitudini, senza legami, senza condivisioni, senza caffè, senza vissuto, cosa resta della giornata di lavoro? Solo il lavoro, pare.

È evidente che sia una questione molto soggettiva, oltre che assai spinosa, ma lavorare da soli, da casa, potrebbe non essere un toccasana per i rapporti sociali, per il proprio benessere psicologico e per la produttività. Riccarda Zezza ne scrive su Alley Oop.

Io, nel mio piccolo, mi ero già espresso a riguardo e, al momento, non ho cambiato idea. Preferisco l’ufficio.