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Materiale superfluo

Nell’ultimo periodo Microsoft ha annunciato il licenziamento di 10.000 dipendenti, il 5% della forza lavoro; Meta ne ha dimessi 11.000, il 3% della forza lavoro; Amazon, invece, ne lascerà a casa 18.000, poco meno dell’1%. Qualche giorno fa Google ha comunicato allontanamenti per 12.000 dipendenti, il 6% della forza lavoro, e PayPal ne dimetterà 2.000, il 7% del totale dei lavoratori dell’azienda. Apple ha ridotto le assunzioni, Twitter ha licenziato oltre 3.000 dipendenti ma per motivi diversi, altre aziende meno blasonate stanno comunque licenziando ma fanno evidentemente meno notizia.

Fare un’analisi con i soli numeri totali non è corretto e ne verrebbero fuori considerazioni parziali: non conosciamo i ruoli e le mansioni di chi sarà mandato via né se si tratta di personale tecnico, amministrativo o funzionale a reparti di servizio. Ad ogni modo, un’osservazione è comunque possibile.

Non credo nella crisi del settore tecnologico, o quanto meno di quella parte del settore tecnologico che ha a che fare con figure tecniche: i profili di cui necessitano le società informatiche sono tanti e non si fa per tempo a chiudere delle selezioni che se ne riaprono altre.

Certamente quello che si palesa è che i lavoratori, in genere, per le grosse società dell’innovazione, non sono altro che meri strumenti funzionali alla crescita, meccanismi di un sistema contorto che obbliga le società a superare tutti i traguardi di avanzamento previsti pena ritorsioni da parte del mercato. Strumenti che, al raggiungimento dell’obiettivo o all’evidenza del suo fallimento, non sono più necessari. Materiale superfluo, merce da ricusare.

Lo facevano le grosse aziende di produzione nel secolo scorso, lo fanno, durante questo in corso, quelle di servizi legati alla tecnologia. Non è una crisi (nuova) del settore IT, è una crisi (vecchia) nel rapporto squilibrato e tossico tra capitale finanziario e capitale umano.