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Quando gestisci un team può capitare e devi metterlo in conto.

Succedono cose fantastiche, in una traversata lavorativa più o meno breve, e succedono cose difficili, conflittuali, tese o da tirare a campare. E queste cose che succedono, miste all’empatia e all’amicizia – che la si può chiamare amicizia, quando ti parli tutti i giorni e ridi e progetti e ti incazzi e guardi al futuro, insieme – queste cose diventano fronte comune, battaglia da vincere, scopo per esultare. E insieme, appunto, si crea e fortifica una relazione, subordinata o meno che parta.

E quindi devi metterlo in conto, quando hai un team, che anche una persona di estrema fiducia e complicità, una persona amica, decida di andar via. Non è un matrimonio, è pure se lo fosse ci si divorzia facilmente, oramai.

E puoi reagire in due modi, quando accade: punti il dito al traditore oppure accetti, comprendendo e augurando il meglio possibile, ringraziando per quanto fatto insieme.

Io, non lo nascondo, in passato ho additato a diversi traditori. Colleghi che, d’improvviso, senza motivazioni evidenti degne di scelte estreme, hanno valutato di andar via. Ma si matura, intanto, e il lavoro è un ambito della vita così labile, e così schermato dalla vita privata dei singoli, che non puoi soffrire di tradimenti per ogni scommessa persa. Ci sono emozioni, sensazioni, sofferenze e riflessioni personali che stagionano e creano fratture anche nelle migliori famiglie.

Perciò, adesso, quando un collega o una collega va via, quando qualcuna o qualcuno di particolarmente importante per la mia organizzazione decide di mollare, ne resto deluso, è inevitabile e non ne faccio mistero, ma ne brindo al futuro e alla realizzazione di entrambi.

Si matura, dicevo, e i traditori esistono solo in guerra. Io ringrazio, apprezzo, tiro su col naso almeno una volta e continuerò il mio viaggio alzando il calice dal finestrino, salutando dalla carrozza in partenza tutto il trascorso rimasto sul binario in stazione ad aspettare un treno diverso dal mio.

Salute.