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Un altro mondo che non lo è stato

Nel 2001 avevo diciotto anni. Ero stato a Napoli, nel marzo di quell’anno, per la prima grande manifestazione “no global” in Italia. Era il giorno 17. Un numero sfortunato, a guardare la cabala, ma io non sono mai stato uno scaramantico.

Seguivamo il corteo, eravamo scortati dalle forze dell’ordine, ci fermammo in piazza Municipio e fummo circondati, intrappolati: ci manganellarono, ci derisero, ci sputarono, ci corsero incontro con le camionette, ci lanciarono addosso lacrimogeni e ci puntarono gli idranti, facendoci del male. Per qualcuno fu grave, io me la cavai con qualche goccia di limone negli occhi. Poi scappai via.

Qualcuno ha poi scritto che Napoli fu l’antipasto di Genova, di quello che sarebbe successo da lì a qualche mese, in luglio. Genova era la portata principale.

A Genova non andai. L’età, la partecipazione dei compagni, il costo del biglietto, la scuola – quell’anno avevo la maturità – e non ricordo cos’altro, forse i genitori, mi bloccarono e decisi di seguirlo da lontano, quel G8. Potevo essere lì ma non ci andai. Ho sofferto quella decisione, col tempo.

Quello che successe a Genova non è utile che lo riproponga su queste pagine, ne mortificherei il ricordo. Segnalo però la lettura appena terminata di Cosa Cambia, di Roberto Ferrucci (People Edizioni) per rinfrescarne la memoria.

Non è il miglior libro che abbia letto sui fatti di Genova: è una storia con la s minuscola nella storia con la S maiuscola, dice l’autore. Ma i grilli nello stomaco, la rabbia nei pugni e l’umidità sopra le gote, se quei giorni te li porti in eredità, te li fa venire lo stesso.

La strada era deserta. Solo quel rottame, lì in mezzo, e mi resi conto che, nel giro di poche ore, ci eravamo già abituati anche a quel tipo di paesaggio, a quell’insieme di distruzione e vuoto che rischiava di riempirsi all’improvviso, con l’arrivo di qualcuno pronto a prendersela con te a prescindere, anche se lui era in divisa e avrebbe dovuto proteggerti, non aggredirti. Era quello il rischio che correvamo. Il rischio che hanno corso tutti quelli che sono andati a Genova, quella volta. E per noi fu niente più che un rischio, alla fine.

Anche per me fu niente. Ma il sangue che fu lasciato a terra, e sui muri e sui manganelli mi furono da formazione.

A oltre venti anni di distanza, con una maturità diversa e con uguale disimpegno, purtroppo, mi rendo conto che quel mondo diverso che immaginavamo non è più così possibile. Auspicabile, forse, ma i sogni invecchiano con i sognatori e le utopie muoiono giovani.

Un altro mondo sarebbe stato bello, ma non lo è stato.