Saperla guardare negli occhi
Ho un problema con la scuola. Non la frequento ma un pochino l’ho sempre respirata: mia madre era insegnante, lo è la mia compagna e mia figlia è una studente. La scuola, nella mia vita, mi ha sempre attraversato.
Il mio problema con la scuola è che per me la scuola è una cosa sacra. E non sacra come può esserlo un simbolo di fede, una statua, un libro o un copricapo: sacra nel senso che la considero una cosa diametralmente opposta alla profanità dei disturbi delle cose piccole del quotidiano. Intoccabile. Divina, quasi. Una cosa alta.
E invece la scuola è una cosa bassa, nel senso che è una cosa che se non ti metti al giusto livello non ci riesci, a insegnare e a educare. Non ce la fai a fare questo mestiere difficilissimo fatto di contesti dove la burocrazia, la meschinità e, spesso, l’infantilismo ci mettono poco a rompere l’incantesimo. La scuola è una cosa che devi saperla guardare negli occhi.
Io non ne sarei mai capace.
Intorno ai ragazzi c’è un mondo complicato, spesso doloroso, che va rispettato e a volte gestito. In questi diciotto anni di scuola ho consolato genitori, ho litigato con genitori, ho odiato genitori e ho imparato a fare il genitore da alcuni genitori. Qualcuno lo abbiamo anche denunciato per maltrattamenti. Con qualcuno ho condiviso festività religiose di cui non conoscevo l’esistenza. Ho visto ragazze pakistane venire a scuola senza velo in occasione di alcune feste di cui non ricordo il nome, e mi sono stupita della loro bellezza, nascosta in abiti troppo chiusi troppo a lungo. Ho parlato di Gesù Cristo e di Buddha con figli di spacciatori e con i figli dell’imam del quartiere.
Gemma Romano, in un articolo molto intenso, ne racconta sei cose che mi sono piaciute parecchio.