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Novantacinque percento

Premetto che non mi considero affatto un padre modello. O meglio, diciamo che faccio il possibile per provaci – tant’è vero che, per ricordarmelo, me lo scrivo anche sulla pagina delle cose che faccio adesso – ma non sono ancora convinto che ci riesca al meglio possibile. Mi impegno, ma non penso sia necessariamente uno che possa essere preso a esempio, ecco: di errori, nonostante le attenzioni, credo di farne ancora parecchi.

Fatta questa premessa, c’è un episodio che ricordo e che spesso racconto per la sua esclusività: qualche anno fa – mia figlia avrà avuto un paio d’anni, forse tre –, seduti in una buona pizzeria della terribile provincia casertana, svuotammo una borsa sul tavolo rovesciando dei giocattoli con i quali avremmo giocato in attesa delle pizze ordinate. Erano dei pupazzi della serie di Peppa Pig1 e ne erano tanti: li usavamo per creare storie e facevamo interagire i personaggi. A mia figlia piacevano.

Il resto dei bambini e delle bambine nel locale avevano gli occhi congelati sui cellulari dei genitori.

Quando tirammo fuori i pupazzi, dicevo, ci capitò di vivere come in quei film dove all’improvviso, tutti insieme, si voltano a fissarti. In quel caso, a guardarci furono tutti o quasi i bambini e le bambine presenti: avevano visto i giocattoli. Avevano visto che su un tavolo in quella grande sala, qualcuno aveva tirato fuori qualcosa che non fosse un telefono.

Alcuni bambini o bambine si avvicinarono e qualche personaggio dovemmo “prestarlo” per la serata – ci furono tutti correttamente restituiti prima di andar via – perché anche loro volevano giocare come giocavamo noi. Mia figlia, devo dire, fu molto generosa: non si pose problemi a passare la cena in compagnia di un numero meno rilevante di maiali antropomorfi.

Mi feci l’idea che in quella pizzeria, al nostro ingresso, circa il 95% dei bambini e/o bambine aveva uno smartphone appoggiato davanti al viso.

Solo il 5% dei genitori, quindi, risultava disposta all’idea di sacrificare parte della propria serata giocando con la prole, rinunciando alla libertà concessa dal telefono baby-sitter.

Da allora, osservando nei posti in cui vado, non mi pare che la situazione sia cambiata parecchio. Ed è per questo che, per quanto risulti assai sconcertante, non sono rimasto totalmente scioccato della lettura della ricerca condotta da Ofcom, gruppo di regolamentazione con sede in UK, dalla quale risulta che il 30% dei bambini dai 5 ai 7 anni utilizza TikTok, oltre il 35% ha un account su WhatsApp e il 22% usa Instagram, nonostante le inutili e inapplicate politiche delle piattaforme che obbligherebbero gli utenti ad iscriversi solo se maggiori di, mediamente, 13 anni.

Questi bambini e queste bambine, almeno in teoria, sono gli stessi e le stesse che in quella pizzeria guardavano YouTube o giocavano a un giochino colorato sugli iPhone dei genitori.

Niente shock. Solo una enorme, giustificata e incommentabile tristezza. Maledetto 95%.


  1. tutta la mia solidarietà, e anche un po’ di stima, a chi non ha la benché minima idea di chi sia. ↩︎