Preferire non è un peccato
Mi hanno insegnato a finire sempre quello che iniziavo: a mangiare tutto quello che avevo nel piatto, a terminare quello dei miei fratelli, a scegliere prima la frutta del giardino, che sarebbe andata a male prima di quella comprata, e a tagliare via il marcio dalla mela e recuperarne la parte sana, per non perderla. Non si butta via niente, diceva mia madre, che è peccato.
Ed è così che sono stato abituato: se potevo non sceglievo, ma pescavo tra ciò che c’era da finire e facevo il possibile per finirlo prima di passare ad altro che, immancabilmente, non era mai quel che volevo io.
Questo ha portato inevitabilmente ad altre contorsioni: ho sempre usato i quaderni fino all’ultima pagina e recuperato quelli già iniziati, ho schiacciato tubetti di dentifricio fino all’ultima goccia, ho letto libri anche se non mi piacevano1, ho rattoppato e cambiato lacci di scarpe sportive pur di farle resistere qualche settimana in più e ho sistemato e riutilizzato zaini, t-shirt e pantaloni, per non buttar via niente. Non è stato sempre saggio.
Cercando di resistere in equilibrio sugli stessi principi, con mia figlia sto provando a passare un altro concetto: non si butta via niente, è vero, però se non ce la fai, se non ne puoi più, se la tua pancia è piena o ne hai fin sopra le orecchie, se proprio hai voglia di cambiare quel maledetto paia di scarpe, lascia stare. Fermati. Ascolta il tuo corpo, i tuoi desideri e le tue sensazioni. Scegli. Non buttar via ma non strafare, non dannarti, non abbuffarti e spreca, ogni tanto e se serve, entro un certo confine e senza starci male se dovesse succedere.
Non è una pena cestinare ciò che, per quanto prezioso, non si è più in grado di portare avanti per volontà, per necessità o per sanità mentale; è più importante scegliere ciò che si vuole, determinarsi, desiderare, conquistare e usare facendo il possibile per riuscirci senza sensi di colpa.
Preferire non è un peccato.
Prima di arrivare a leggere Pennac. ↩︎