L’altro lato dell’Occidente
Una volta, da qualche parte, lessi un commento che lo definiva “un uomo chiamato storytelling” o qualcosa del genere: Francesco Costa riesce a trasformare in racconto anche una noiosa domenica pomeriggio passata sul divano a guardare un programma per famiglie, figurati il resto.
Ammiro molto Costa1 sia per i suoi commenti quotidiani in Morning, che generalmente condivido e che mi aiutano a fare sintesi e a mettere insieme le riflessioni sull’attualità della giornata, sia per la splendida capacità di fare tante cose, di farle tutte pressoché bene, di farle molto spesso tutte insieme.
Frontiera, che ho appena finito di leggere, è il suo ultimo libro.
Gli americani si raccontano questa storia attorno al concetto tutto loro del «destino manifesto», del popolo eletto, dell’espansionismo come condizione necessaria alla prosperità di un esperimento unico e speciale, quello americano, costruito sulla conquista, sull’esplorazione, sulla frontiera appunto, con capacità e valori e forza tali da potere e dovere «guidare il mondo libero», come si dice. Quindi il pianeta, auspicabilmente. Davanti a una tale megalomania, noi li guardiamo piegando la testa di lato oppure alziamo gli occhi al cielo, pronti a elencare le catastrofi che attanagliano la loro società e che li rendono tutto fuorché un modello. Abbiamo ragione noi. Ma se si vuole capirli, è importante tenere a mente che loro ne sono profondamente convinti. Il fatto che gli Stati Uniti non siano mai stati all’altezza dei loro valori proclamati non ha impedito a quei valori di rappresentare un obiettivo a cui tendere, di dare una direzione al progresso anche fuori dai loro confini: un popolo che si convince di essere speciale andrà certamente più lontano di un popolo che si convince di essere sfortunato, incapace, perennemente vittima.
Non sono un fan della cultura statunitense ma mi interessa capirla, come me ne interessa capire la politica e restarne aggiornato.
Frontiera mi è parso un po’ essere la sintesi di tante cose recenti, di tante storie e di tanti aneddoti che sporadicamente sono stati raccontati in momenti ed eventi, raccogliendoli e dandogliene un senso di continuità. Facendone una storia da raccontare, appunto. Non è “il” libro sugli Stati Uniti d’America, ma aiuta a comprenderne un altro frammento, a posare sul tavolo qualche altro pezzo di un puzzle grande e scomposto che è la loro storia e il loro modo di affrontarla.
Quanto a noi, che ci piaccia o no, gli Stati Uniti rappresentano ancora la nostra frontiera, o la cosa che più ci si avvicina. Pur se con tempi e condizioni ovviamente diversi, quello che accade negli Stati Uniti tende a presentarsi anche dalle nostre parti, più di quello che accade in Russia o in Turchia; quello che fanno gli Stati Uniti tende ad avere conseguenze anche dalle nostre parti, più di quello che fanno il Giappone o la Svizzera; quello che vediamo negli Stati Uniti è stato ed è ancora un’anteprima di quello che vedremo dalle nostre parti, più di quello che vediamo in Cina o in Tunisia. Come dire: gli Stati Uniti ci mostrano le prove generali. Sono il canarino, a proposito di miniere.
Non è un contenuto per impallinati, è un libro per chi vuole capire qualcosa in più su una cultura, una politica e una società che, presto o tardi, travolge anche questo nostro vecchio lato di Occidente.
Buona lettura.
Francesco Costa è giornalista e peraltro vicedirettore de Il Post, oltre che autore della newsletter sugli Stati Uniti Da Costa a Costa e del podcast Morning. ↩︎