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Citate più donne

Una storia con due storie dentro, quella del bot del Financial Time: consente ai redattori, analizzando i loro pezzi, di capire se stanno citando troppi uomini a scapito delle donne e di equilibrare la parità di genere nei contenuti del giornale. Una storia di tecnologia, quindi, e una umana, di stereotipi e di convenzioni che tardano a cambiare.

Il bot di per sé è uno strumento di supporto, un programma che scansiona i testi e segnala dati statistici. Per farlo analizza nomi e pronomi, determinando così se si sta parlando di maschi o di femmine. Con lo stesso metodo il FT si pone l’obiettivo di pesare anche i contenuti di minoranze, di etnie o di altri modelli comportamentali poco sensibili alle differenze.

Il motivo dello sviluppo dell’applicativo sembra nobile, ma in realtà è solo un mero ausilio commerciale: le donne cliccano di più su contenuti dove le citazioni (o le foto) sono di donne; leggono e interagiscono meno quando si parla con le voci di soli uomini. Nessuno spirito egualitario in redazione, solo un tool per attirare più lettrici.

Per raggiungere l’obiettivo i redattori hanno bisogno di una spintarella, di un grillo parlante che gli ricordi che è bene citare personaggi femminili nei loro articoli perché non lo farebbero altrimenti, o lo farebbero troppo poco. Meglio farsi aiutare, quindi, che non gli viene spontaneo. Perché nei giornali come il FT o in altri luoghi di rilevo per la discussione politica ed economica mondiale, evidentemente la giacca e la cravatta contano ancora più del tailleur.

Una doppia storia che ne svela una terza, quella di un giornale rilevante che vuole vendere di più in un periodo storico dove la crisi dell’informazione ha raggiunto livelli decisamente preoccupanti. Una sola finalità a danno della tecnologia e della parità di genere: fare più utili. E chi se letta s’è letta.