Mi spiace ma
Mark Zuckerberg chiede scusa, durante un’udienza al Senato degli Stati Uniti, alle famiglie di bambini e ragazzi che si sono fatti del male, che hanno avuto gravi problemi o, addirittura, che si sono suicidati in conseguenza alle esposizioni sul suo social network.
Le scuse di Zuckerberg di fronte al Congresso non sono le prime della sua carriera. Anzi: la sua è una lunga storia di “sorry”. La prima volta risale al 2003, quando Facebook si chiamava ancora ma Facemash. Dopo poche ore Zuckerberg ferma il suo esperimento scusandosi “con chi si è sentito usato”. Quando, nel 2006, Facebook esce dai campus di Harvard per allargarsi al mondo, molti utenti della prima ora temono per la sorte dei propri dati. Il ceo prima li rassicura. Poi, qualche mese dopo, dice: “Mi scuso perché non siamo riusciti a costruire un sistema di controllo della privacy appropriato”. Nel maggio 2010 il Wall Street Journal rivela che Facebook avrebbe venduto agli inserzionisti l’ID degli utenti, rendendoli così tracciabili anche fuori dal social. Zuckerberg ammette l’errore. Quando, nel 2016, si diffonde la convinzione che la piattaforma avrebbe condizionato le elezioni Usa diffondendo fake news, Zuckerberg parla di “follia”, salvo fare retromarcia poco dopo, dicendosi “pentito per aver sminuito un tema così importante”.
Questa citazione è di un articolo di Sky TG24 del 2016.
Sono anni che Zuckerberg chiede scusa e si pente, ma il modo in cui i suoi prodotti funzionano e creano danni alle persone non è mai cambiato.